giovedì 31 ottobre 2019

LA MORTE, OVVERO L’IRRISOLVIBILE MISTERO DELA NOSTRA VITA Il mese di novembre, con la commemorazione dei defunti, è tradizionalmente un tempo che ci induce, almeno per qualche ora quando ci si reca al cimitero, a chiederci verso dove vada l’esistenza terrena dell’uomo. L’inesorabile trascorrere del temo, prima o poi, ci mette infatti tutti quanti dinnanzi a inevitabili e tristi distacchi che ci offrono l’occasione per una riflessione sulla precarietà della nostra permanenza sul pianeta terra. Questa precarietà è infatti il filo conduttore della vita che per ogni essere umano ha da sempre lo stesso epilogo: la morte. E nonostante i lusinghieri progressi in campo scientifico e medico che già permettono all’uomo di vivere più a lungo, l’uomo non riesce ancora a sfuggire all’invecchiamento e alla morte che ne consegue. Capita molto spesso anche che la vita possa essere bruscamente interrotta da un evento imprevisto: da un incidente, da una malattia o da qualche altro incidente di percorso che non mancano mai nel corso della vita di ognuno di noi. Non a caso la Bibbia ci definisce “filo di vapore che appare per un po' e poi si dissolve”. Ecco perché nei tempi addietro si era soliti meditare molto di più sul tema della morte: si spiega così come molto spesso nei ritratti di non pochi religiosi compariva, tra gli altri elementi, anche un teschio per ricordarci l’approdo finale della nostra esistenza terrena. Oggi, invece, assistiamo, in un clima di crescente secolarizzazione, ad una totale inversione di rotta: la frenetica società dei nostri giorni tenta di rimuovere la morte dai nostri orizzonti come se si trattasse di un evento del tutto estraneo alla stessa esistenza e al mistero della vita. Per nostra fortuna non tutte le persone la pensano così. Tra questi ultimi ricordiamo lo scrittore Matteo Collura il quale, nella prefazione al romanzo dello scrittore russo Lev N. Tolstoj “La morte di Ivan Il’ic”, così scrive a proposito della morte: “la Morte, il morire, non è esperienza che possiamo fare e di conseguenza trasmettere, perché nel momento in cui si muore irreversibilmente cessa il nostro stato di essere umani. Ci si può avvicinare alla morte, al morire, ma la soglia che segna il punto di non ritorno non è attraversabile se non dopo la vita. Un mistero irrisolvibile e il più terrificante tra quelli che ci è dato subire. Dal momento in cui si viene al mondo, la propria fine è l’unica certezza. Lontana, lontanissima da noi quanto si vuole, ma sempre lì, al limite estremo della vita, di ogni vita, sempre e da sempre. Vivere, secondo tutte le religioni di tutte le civiltà, è un prepararsi a morire. Persino i senza religione, gli atei, ammesso che ve ne siano di perfettamente tali, a un certo punto della loro esistenza non possono non pensare alla morte come a un traguardo che, nel suo estremo apparire, dà senso alla vita”. Giuseppe Castronovo gcastronovo.blogspot.it

Nessun commento:

Posta un commento