mercoledì 10 ottobre 2012

L'ACCORPAMENTO DEI PICCOLI COMUNI: TRA TANTE OCCASIONI PERSE UNA RIFORMA ANCORA POSSIBILE.

                                                       




Al Segretario del Partito Democratico
On. Bersani

Da alcune settimane l’attenzione dell’opinione pubblica è bombardata, tramite televisione e giornali, da notizie riguardanti sprechi di pubblico denaro da parte delle Regioni.
L’evidente difficoltà della classe politica a smentire questo inoppugnabile fatto di malcostume ci spinge a ripensare la capillarità della  presenza e il ruolo delle Regioni nell’ambito di un più ampio dibattito sul complessivo assetto  istituzionale del nostro Paese.
Le inchieste giornalistiche e giudiziarie, portate avanti in questi giorni, evidenziano, invero, un dilagare di sprechi di pubbliche risorse per nulla compatibile con la grave crisi che oramai da troppo tempo attanaglia il nostro Paese. Uno spreco che coinvolge un po’ tutte le Autonomie locali: non solo le Regioni, ma anche gli altri due segmenti che concorrono a costituire  il vasto campo delle Autonomie locali: Comuni e Province.
Dinnanzi all’evidenziata  vastità    del fenomeno corruttivo e di mala, e fin qui incontrollata, gestione di così ingenti pubbliche risorse è arrivato il momento di prendere finalmente atto che non siamo più davanti ad una crisi circoscritta e congiunturale, ma dinnanzi al collasso dell’intero sistema delle Autonomie locali. Un collasso che inevitabilmente deve indurre   le forze politiche a riconoscere e confessare pubblicamente la verità: l’attuale incontrollato decentramento disegnato dalla riforma costituzionale del 2001 fu un grave errore e va quanto prima corretto!
Sul tema è intervenuto, tra gli altri, anche Lei On. Bersani, affermando  perentoriamente  dalle colonne de Il Sole 24 Ore del 28.9.2012: “Stato e Territori, cambiare pagina”.
Prendiamo atto, On. Bersani, della franchezza con la quale riconosce come la riforma costituzionale delle Autonomie locali del 2001:
-  presenti  “aspetti non coerenti, e talvolta anche scomposti, in materia di decentramento”;
-  manchi  “di una visione e di un disegno organico di riforma”;
-  “l’Italia oggi ha più di 8.000 Comuni, un livello amministrativo intermedio da ripensare radicalmente;  
-  bisogna “mettere mano a una riforma organica dell’intero sistema nel quadro della revisione della seconda parte della Costituzione;
-  “bisogna dar vita a uno strumento di rango costituzionale che abbia come suo obiettivo l’elaborazione di un disegno complessivo di riforma, che intervenga su tutti i livelli di governo”.  
Non possiamo non notare e apprezzare come Lei, dopo aver utilizzato nel corso del suo intervento, per ben due volte l’aggettivo “organico”, conclude con la locuzione “disegno complessivo di riforma …costituzionale”.
Quindi non più riforme parziali, ma riforme che abbiano una generale visione d’insieme.  Solo un disegno organico consentirà di semplificare e razionalizzare la complessità dell’attuale assetto istituzionale della Repubblica rendendolo più coerente e funzionale all’Italia del terzo millennio.
Una complessità che non ha mancato di sottolineare il Boccalatte  (prefazione al Volume L’accorpamento dei piccoli Comuni, ed. Rubbettino, 2010) quando afferma che “ difficilmente ci si rende conto di quanti soggetti pubblici incombano sul capo di ogni cittadino: Comune, Provincia, Regione, Stato, Unione Europea, tanto per limitarci ad alcuni enti territoriali..”
Ogni singolo Ente meriterebbe uno studio sulla sua razionalizzazione. Noi ci accingiamo, in questa sede, a sottoporre alla riflessione sua e delle forze politiche tutte, la riorganizzazione dei Comuni i quali, come Lei ha ben evidenziato, sono 8.100. Di questi, aggiungiamo noi:

-   4.600  non superano i 3.000  abitanti;
-   5.756                      5.000            .
L’attuale legislazione sugli Enti Locali stabilisce che “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative …salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti”( art. 13 T.U. 267/2000). L’art. 118 della Costituzione, così come modificato dalla riforma del 2001, dispone, a parte sua, che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni…sulla base dei principi di sussidiarietà differenziazione ed adeguatezza”.
Un articolo, quest’ultimo, che, togliendo alla Stato il ruolo di amministratore a competenza generale, riconosce e rafforza la centralità e il ruolo dei nostri Comuni. Ricordiamo, in proposito, come l’allora Presidente della Repubblica  Francesco Cossiga ebbe a definire il Comune “il volto immediato dello Stato, il primo momento di contatto fra i cittadini e le istituzioni” (messaggio televisivo di fine anno del 31.12.1987).
Ci sia consentito evidenziare come il Comune, attraverso la sussidiarietà, ed è chiamato istituzionalmente a svolgere un ruolo anche di presidio per le categorie più deboli; un ruolo che oggi é reso ancora più complesso e gravoso dalle perduranti circostanze di incertezze sociali ed economiche che attraversano il nostro Paese.
Un ruolo che giammai potrà essere svolto   dai piccoli e piccolissimi Comuni costituzionalmente”
 privi di una forza politica e conseguentemente  incapaci di organizzare una efficiente prestazione di servizi. Ci chiediamo, così stando le cose, se la permanenza dei piccoli Comuni abbia ancora un senso. Recentemente il prof. Cerulli Irelli, docente alla Sapienza di Roma ed ex parlamentare, ha espresso, a proposito dei Comuni con meno di 5.000  abitanti,  la seguente opinione: “è assolutamente impossibile per enti di questo tipo esercitare funzioni di governo accettabili”. (Così nell’intervista al quotidiano L’Unità del 25.11.2011).
Mi permetta sottolinearne, On. Bersani, la locuzione “assolutamente impossibile”.
Sono Comuni, aggiungiamo noi, ai quali manca ogni capacità programmatoria degna di questo nome, mentre l’esigenza di uscire dai particolarismi municipali per confluire in un disegno di sviluppo coordinato e di più ampio respiro si fa sempre più insistente.
Del resto, è inutile continuare a negarlo: la riforma del 2001 con  la Costituzionalizzazione  del principio della sussidiarietà ha di fatto “spiazzato” i piccoli Comuni, perché incapaci a reggere il passo alle nuove “pesanti” incombenze la cui titolarità è stata indistintamente loro assegnata.
Purtroppo nei piccoli Comuni tale titolarità molto spesso rimane solo sulla carta, creando di fatto condizioni di diseguaglianza fra i suoi cittadini e quelli de Comuni, più grandi e non di rado contermini, nei quali la sussidiarietà raggiunge adeguati livelli di sufficiente concreta effettività.
Il legislatore che nel 2000 ha scritto l’art. 13 del T. U. 267 secondo cui “spettano al Comune tutte le funzioni”   e nel 2001 ha riscritto l’art. 118 della Costituzione secondo cui “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni” si caratterizza per aver prima   parificato il Comune di Milano a quello di Pedesina (Sondrio) che con i suoi 30 abitanti è il più piccolo comune d’Italia, e poi per aver assegnato loro in modo indistinto le stesse identiche funzioni. E’ una tecnica legislativa che ci ricorda la parabola evangelica del seminatore la cui semente cade – narra  l’Evangelista Marco ( cap. 4°, 2-8  ) -  in parte lungo la strada, per essere beccata dagli uccelli, in parte fra i sassi dove, non essendoci terreno profondo, spunta subito e al levar del sole si secca non avendo radici.
L’evangelista prosegue nella sua narrazione dicendoci che un’altra parte cade tra le spine che la soffocano e non dà frutto. Un’altra parte, infine, cade sulla terra buona (da evidenziare l’aggettivo con il quale qualifica la terra), da frutti e rende ora il 30, ora il 60 e ora il 100 per uno.
La parabola ci insegna che non basta seminare soltanto: bisogna sapere scegliere dove, altrimenti si rischia di perdere tutto. Tutto ciò la natura ce lo insegna e la vita di tutti i giorni ce lo conferma,
La caduta del seme in 4 diverse parti del terreno non costituisce nell’economia della parabola 4 storie diverse, ma una sola storia: quella , appunto, di un contadino che getta il seme nello stesso campo e nello stesso giorno.
La parabola ci presenta 4 tipi di terremo: i primi tre sono la storia di altrettanti fallimenti, mentre l’ultima ci dice che il seme porta molto frutto.
Ad una attenta lettura non può sfuggire al lettore come nella stessa semina sia la qualità del terreno a provocare fallimenti e successi. Fin qui la parabola  evangelica.
Fuori metafora: non è difficile intravedere nel seme il principio della sussidiarietà accompagnato a quello di eguaglianza e nei 4 tipi di terreno l’eccessivamente  variegata realtà dei nostri Comuni.
E come nella parabola fallimenti e successo della semina sono provocati dalla qualità del terreno, altrettanto possiamo senz’altro dire in tema di sussidiarietà e di riforma dell’Ordinamento comunale: sono i Comuni, con la loro estrema articolazione, a decretare il successo o il fallimento della sussidiarietà e del nuovo ruolo che sono chiamati ad assolvere.

Moltissimi Comuni, i più piccoli, sono rimasti letteralmente “schiacciati” dal peso delle nuove incombenze e non riescono ad assolvere ai loro compiti istituzionali secondo il principio di effettività..
Come il seme non si getta dovunque, così le stesse identiche funzioni, anche se in nome del principio di eguaglianza e della sussidiarietà, non possono essere affidate indistintamente a tutti gli 8.100 Comuni senza tener conto delle oggettive differenze, talvolta incolmabili, che corrono tra loro.
Il legislatore forse avrebbe dovuto tenere in maggiore considerazione l’insegnamento di sant’Agostino secondo cui “l’ordine è la disposizione di cose eguali e diseguali che assegna a ciascuno il proprio posto” (La Città di Dio, Libro IX, cap. XIII, par. I ).
Anche le istituzioni comunali, così come le altre istituzioni, per quanto ben concepite e rappresentate da persone ispirate da nobili propositi, alla lunga sono destinate a fallire nella loro missione se non istituite e rette nel tempo tenendo conto del principio di ordine” così come concepito da sant’Agostino: “a ciascuno il proprio posto”.
Sta nell’aggettivo “proprio” la chiave di lettura del pensiero agostiniano: ad ogni soggetto vanno affidati compiti secondo capacità allo stesso riconosciute di svolgerli effettivamente. L’attuale nostra legislazione assegna invece in modo “indistinto” le stesse identiche funzioni a tutti i Comuni senza alcuna preventiva analisi dell’effettiva adeguatezza di ciascuno di loro all’assolvimento delle stesse.
Tornando alla parabola evangelica ci sia consentita un’ulteriore osservazione. C’è un tema che  nella parabola non viene affrontato:  quello della preliminare preparazione del terreno prima della semina.  Ai nostri giorni si è soliti preparare il terreno con il concime e altre sostanze fertilizzanti dopo averlo arato.  E’ un lavoro faticoso non meno della semina.

Tornando ai nostri Comuni non possiamo non ricordare, in proposito, gli sforzi profusi da un grande Maestro, il Prof. Giannini, il quale sosteneva la necessità di far precedere la riforma dell’Ordinamento comunale – che poi sarebbe sfociata nella legge n. 142/1990 – da un generale riordino delle Circoscrizioni comunali. Il Giannini, infatti,  dopo aver sostenuto il principio della necessaria “autonomia vitalità” dei Comuni, (l’autonomia per essere effettiva deve essere vitale, cioè operativa) invitava le forze politiche a voler preventivamente procedere alla fusione dei Comuni più piccoli (atto Senato n. 2.100, artt. 1-5, anno 1989).
Purtroppo la voce del Giannini rimase “voce nel deserto” e oggi a distanza di  più di un ventennio siamo qui a constatarne  le conseguenze che, dimostratesi tutt’altro che esaltanti,  costringono gli studiosi e le forze politiche a porvi rimedio.

Riteniamo che ciò che non fu fatto allora deve essere fatto oggi!
 
Pur essendo trascorsi più di   vent’anni dall’approvazione della legge n. 142/1990 possiamo solamente e molto amaramente constatare come il numero complessivo  dei Comuni non sia affatto diminuito, nuove Province siano nate come funghi dal nord al sud della Penisola e per i cittadini che vivono nei piccoli Comuni la sussidiarietà molto spesso rimane un principio costituzionale privo di effettività .

E l’ordinamento comunale ha ormai raggiunto una soglia di criticità oltre la quale può saltare l’equilibrio dello stessa assetto statale.

La verità è che una vera  riforma dell’Ordinamento comunale  tutti la vogliono ma, almeno fin’ora, solo a parole. Forse sarebbe necessario che prima ancora di pensarla, la riforma, venissero realizzate le “precondizioni di merito” guardando alla nostra Storia, alle origini del nostro Ordinamento comunale, alle origini e  all’attuazione della nostra Costituzione repubblicana e alla criticità dell’assetto ordinamentale dei nostri Comuni.
Per verificare la criticità dell’attuale presenza di 8.100 Comuni sarebbe opportuno ricorrere alla prova del cocomero (rectius: anguria). Ebbene, se per scegliere un frutto a un giusto livello di maturazione si usa incidervi un tassello a forma di cuneo per assaggiarne la polpa,  così la stessa operazione andrebbe eseguita per “saggiare” la “validità” – forse sarebbe meglio dire la criticità” -  dell’attuale presenza di 8.100 Comuni nell’attuale istituzionale del nostro Paese. E ciò perché dovrebbe essere  interesse di tutti avere  innanzi tutto piena cognizione della criticità dell’attuale situazione per approntare poi gli opportuni rimedi. La situazione, purtroppo, ha già superato il giusto punto di maturazione per non intervenire.
Interessante al riguardo l’indagine svolta, già prima del varo della legge n. 142/1990, da due valenti studiosi Mannozzi e Visco Comandini, per conto del C.N.R. ( Le funzioni del Governo locale, Giuffrè, 1990), dalla quale risultava che il tasso di effettivo esercizio delle funzioni delle quali i Comuni sono titolari variava, in generale, dal 29% dei piccoli al 65% di quelli grandi o metropolitani. Gli stessi altresì osservavano come, anche restringendo l’indagine alle sole attività cosiddette “essenziali” e cioè quelle il cui mancato esercizio tocca interessi primari e viali della Comunità, il grado di effettività nei Comuni con meno di 3.000 abitanti non superasse il 60% . Trattasi di percentuali che evidenziano uno stato di grave patologia nella gestione amministrativa dei nostri Comuni più piccoli: l’inadeguatezza dimensionale dei Comuni quale causa principale, quindi, dell’ineffettività di molte funzioni che o non vengono svolte o che vengono svolte in modo del tutto insufficiente.

Le percentuali sopra esposte, pur nella loro aridità numerica, avrebbero dovuto far seriamente riflettere il legislatore quando nel 1990 si accingeva ad approvare la legge n. 142 e indurre lo stesso a tenere in maggior considerazione l’invito del Giannini che voleva un preventivo riassetto generale dei Comuni che tenesse conto anche della loro dimensione demografica. Ciò che non fu fatto allora è il caso di farlo oggi; siamo infatti di fronte ad un macroscopico caso di scostamento tra previsioni programmate a livello normativo e risultati effettivamente conseguiti percentualmente così elevato da non poter essere più tollerato.
Crediamo di trovare  d’accordo tutti voi il lettore  se affermiamo che perché la norma scritta abbia un senso deve necessariamente tendere all’effettività. Ma quando lo scostamento supera – come nel nostro caso – un certo livello, così da mettere in crisi lo stesso sistema, siamo di fronte ad una patologia del sistema  non più tollerabile alla quale occorre rimediare urgentemente riducendo tale scostamento.
“E’ noto – ci insegna il filosofo Benedetto Croce – che le leggi hanno bensì la loro importanza, ma che assai più importa il modo in cui esse vengono osservate” (Elementi di politica). E il grado di osservanza di una legge, aggiungiamo noi, è il metro più sicuro per verificarne il grado di effettività.

L’esigenza di rendere effettivo lo svolgimento delle funzioni da parte dei Comuni, così da dare, tra l’altro, concretezza al concetto di Autonomia e al principio costituzionale della sussidiarietà, non può non passare anche attraverso una generale revisione delle attuali Circoscrizioni comunali che, accorpando le micro realtà,  consenta loro di raggiungere almeno la sufficienza sotto il profilo operativo.

La saluto cordialmente

Giuseppe Castronovo






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